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Filippo: il valore della libertà per un caregiver

  • Immagine del redattore: Avvocati Empatici
    Avvocati Empatici
  • 9 apr
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 10 apr

Il ruolo del caregiver come supporter e non come controllore


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Filippo aveva trent'anni, un lavoro a tempo indeterminato, e una ragazza che gli voleva bene.

Filippo aveva trent'anni, lavorava come categoria protetta e tutti i giorni quando aveva finito di lavorare trovava sempre un “amico” che lo aiutava a spendere un po’ del suo stipendio, anche se non sapeva bene in cosa.

Filippo aveva trent'anni e viveva con la zia da dieci anni, da quando una diagnosi di deficit intellettivo non propriamente specificato è stata consegnato al padre di Filippo che lo ha riempito di botte perché si era fatto truffare da una ragazza e lo aveva buttato fuori di casa.

Filippo aveva trent'anni e voleva farsi una famiglia, voleva sposarsi e avere dei figli e non capiva perché la zia, l’unica che lo aveva sempre sostenuto si opponeva: è un brav’uomo, sa prendersi cura della sua compagna, al lavoro è puntuale e fa tutto quello che gli dicono di fare. E’ una vita che gli dicono che è un cretino, ma gli hanno detto di peggio, non dicono sul serio, sì è un po’ più lento ma sa stare da solo e occuparsi di qualcuno: lui sarebbe un ottimo papà, i bambini gli piacciono tanto.

E così che arriva da me Francesca, non sa come spiegare a suo nipote che certe cose fatica a capirle, che è un soggetto fragile, che quello che lui definisce “essere buoni” è in realtà una incapacità di anticipare il pericolo e una lenta diagnosi dello stato di fatto e questo lo mette molto in pericolo.

Sono trascorsi due anni da quando Francesca ha presentato la richiesta presso il tribunale di Brescia per diventare tutore di Filippo, ma la sentenza sembra ancora lontana e cmq incerta, non sembra così facile da ottenere, l’avvocato ha presentato la richiesta come amministratore legale, almeno lo aiuterebbe a non farsi truffare, ma di certo non potrebbe impedirgli di vivere la sua vita, e non lo vuole neanche.

Francesca aveva trentasette anni, una vita, un marito e un figlio di diciannove anni, non ha avuto una vita facile, tanti traumi e tante fatiche ma non voleva arrendersi con Filippo, e aveva paura per le conseguenze delle sue scelte.

Francesca  aveva trentasette anni e non aveva il potere legale di impedire a Filippo di andare da Brescia a Firenze per andare a trovare la fidanzata conosciuta su internet. Una ragazza che come lui appariva con una lieve compromissione cognitiva ma non aveva alcuna diagnosi e aveva una mamma che appoggiava il fidanzamento e spingeva per una costituzione legale di famiglia, affinché la figlia non restasse sola e ci fosse qualcun altro ad occuparsene, lenta com’è.

Ho aiutato Francesca a spiegare la diagnosi e le sue preoccupazioni a Filippo, ma il vero lavoro è stato quello di aiutare Francesca ad accettare che non si può limitare il libero arbitrio di una persona, anche se si ha la piena consapevolezza che i rischi sono tanti.

Filippo oggi ha trentadue anni e vive da quest’anno a Firenze con Carlotta, qui ha trovato un lavoro come quello che faceva a Brescia grazie all’aiuto del suo capo che ha parlato con la filiale locale. E’ arrabbiato con Francesca perché non lo aiuta a sposarsi ma ha accettato di provare prima a convivere e ha promesso di dimostrare con i fatti che la patologia, che ora sa di avere, può controllarla seguendo le regole che la psicologa le ha dato e andando regolarmente in comunità tre volte a settimana.

Francesca oggi ha trentanove anni, è tutrice legale di Filippo e lo aiuta nell’amministrazione del suo stipendio, ma lo ha lasciato andare, un pensiero per lui c’è sempre ma sa che farà la sua vita, le ci sarà ma non può né limitare la vita di lui né sacrificare la sua, bisogna lasciar andare.

La storia di Filippo e Francesca ha tante assonanze con altre storie: con quella di Roberta madre di Lucia con un disturbo ossessivo che ha deciso di essere una broker illegale, e corre i suoi rischi e sperpera i suoi soldi ma ormai ha trentadue anni e dorme dove trova rifugio perché Roberta non può più accettare che le venda i beni o le rubi i soldi; o ancora con quella di Tancredi padre di Lucrezia con un grave disturbo personalità, che ha deciso di sposarsi con Johnny, agli arresti domiciliari per furto, e così via. Sono storie di persone fragili che nonostante il grande impegno dei loro genitori hanno fatto scelte diverse e si sono rivoltate contro chi ha fatto davvero di tutto per loro.

Questo deve insegnarci che le cattive decisioni della persona a noi affidata non sono sempre responsabilità nostra, non possono essere un peso che dobbiamo portarci dentro per sempre, sacrificando la nostra vita e quella di chi abbiamo accanto. Ritengo addirittura che non siano un fallimento: se abbiamo fatto del nostro meglio, se abbiamo aiutato, supportato, mostrato la buona via con il nostro esempio, ad un certo punto dobbiamo anche donare la libertà, anche la libertà di sbagliare.

Troppo spesso assistiamo alla diffusione della responsabilità: il genitore però doveva, certo la società poteva e poi che sfortuna … ma dove sta l’assunzione di responsabilità di chi compie l’azione?

Il ruolo del caregiver non è quello di controllare e dirigere la vita di coloro che gli sono affidati, ma di aiutarli a comprendere quali sono le vie maestre, quali sono i rischi delle altre strade, quali sono i buoni principi e le buoni prassi e infine aiutarli a comprendere il loro valore, proprio perché, grazie al loro valore una volta equipaggiato il lo zaino con tutto il resto, possano autonomamente affrontare la vita.

Infine è importante per un caregiver fermarsi e alzare le mani, riconoscere che si è fatto tutto il possibile, che fin dove questo non distrugge la sua vita o quella degli altri suoi cari, lui ci sarà sempre ma ora il proprio assistito, sia esso un figlio o un tutelato, è libero e non un suo peso per sempre.


 
 
 

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