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Lo sapete che siamo separati?

  • Immagine del redattore: Avvocati Empatici
    Avvocati Empatici
  • 25 giu
  • Tempo di lettura: 4 min

Quando un figlio piccolo inconsciamente assume un ruolo nella separazione dei genitori

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Quando ero molto piccola, e la separazione dei miei genitori era già un dato di fatto, ero solita affrontare il mio nuovo mondo presentandomi con una frase per me chiara, sincera e che mi identificasse senza ma e senza se.

Affrontavo il mondo con il mio “Lo sapete che siamo separati?”.

Pensate a una frugoletta di quatto/cinque anni che saltava a destra e a manca tra le persone con il sorriso e si presentava al mondo in questo modo.

Era il mio modo per dichiarare apertamente la mia realtà che, all’epoca dei fatti, non era certo una consuetudine e ancora di più era soggetta a giudizi, bisbigli dietro le spalle, considerata una vergogna e non ammessa socialmente.

Neppure le suore mi ammisero all’asilo perché figlia di genitori separati così come, al mio primo giorno di scuola superiore, una professoressa di quelle onnipresenti, cinque materie per sei giorni a settimana,  al nostro primo giorno di scuola, chiese “amabilmente” “Chi ha i genitori separati si alzi!”. 

Nella mia classe ci alzammo, se non ricordo male in cinque, e da lì, secondo il suo criterio di giudizio e le sue convinzioni personali, fummo tutti marchiati.

Personalmente non mi sono mai sentita responsabile della separazione dei miei genitori: ho cercato di diventare semplicemente adulta e di crearmi, anno dopo anno, il mio modo di reagire e di crearmi la mia strada, guardando avanti.

Non posso mentire, dicendo che sia stato semplice ed indolore ma è passato e “Io sono ancora qua”, prendendo in prestito le parole di Vasco Rossi.

Devo dire che il mio carattere mi ha certamente supportato in questo.

Solo con il tempo e con un profondo lavoro su me stessa, ho imparato ad accettare i miei genitori per ciò che erano: troppo giovani, inesperti, impreparati. E ho potuto lasciarli andare, senza recriminazioni, senza risentimento. 

Riconoscendo il bene, facendo pace con il male. Regalandomi la libertà.

A prescindere però dal fatto personale però, so perfettamente che non tutti i bambini hanno gli strumenti o la predisposizione caratteriale per affrontare tutto questo.

Capita più spesso di quanto si pensi: due genitori si separano, pensano di aver protetto i propri figli da ogni tensione, eppure quello/quelli che loro ritengono non poter capire, sembrano assumersi un compito silenzioso, quasi invisibile. 

Talvolta inizia a fare da ponte tra mamma e papà, cerca di farli ridere, li consola quando li vede tristi, modula i suoi comportamenti per non creare problemi. 

Lo fa senza che nessuno glielo chieda. 

Lo fa per amore. 

Lo fa perché sente che qualcosa si è rotto e vuole, a modo suo, aggiustarlo.

I bambini non esprimono i loro disagi come gli adulti.

Li trasformano in gesti, silenzi, frasi che spiazzano. 

Magari mentre disegnano, o giocando, ti guardano e dicono: "Lo sapete che siamo separati?", come nel mio caso.

Come se il loro cuore stesse cercando conferme. Come se stessero ancora cercando di dare un senso a ciò che è accaduto. 

E in quel tentativo, spesso, iniziano a "fare", nel tentativo di riportare equilibrio dove c'è stata frattura.

Il rischio, quando questo accade, è che il bambino inizi a rinunciare a qualcosa di sé per occuparsi di ciò che dovrebbe restare responsabilità degli adulti. 

Ma un figlio ha o meglio dovrebbe avere il diritto di restare figlio. 

Di sentirsi amato e sostenuto, non di dover gestire tensioni che non comprende o mediazioni tra due mondi che dovrebbero continuare a parlarsi anche senza vivere sotto lo stesso tetto.

Cosa possiamo fare, allora? 

Prima di tutto, osservare. Ascoltare davvero. 

Non dare per scontato che "va tutto bene" solo perché un bambino non piange. 

Poi, comunicare. Con parole semplici, adatte all’età degli interlocutore/i, esposte in maniera chiara, rassicurante e condivisa da entrambi i genitori.

Pensate a un figlio che senta due versioni diverse, spesso solo di accuse dell’uno rispetto all’altro? Vi assicuro un vero e proprio trauma, un danno che non fa altro che generare ulteriore sofferenza emotiva. Da quella poi il percorso per uscirne è lungo, doloroso e molto faticoso.

La rottura della coppia è una cosa, ma non si deve mai dimenticare che questa non dovrebbe e sottolineo dovrebbe mai coincidere con il venire meno di fare ed essere dei genitori con al centro del proprio interesse il benessere del figlio/a o dei figli e non certo il senso di rivalsa che spesso si appropria di loro.

Serve che il bambino senta che la separazione riguarda la coppia, non lui. 

Che non ha colpe. Che non deve fare nulla per far tornare le cose come prima.

Ma soprattutto, serve dirgli, dimostrandolo giorno dopo giorno, che l’amore che i genitori provano non è cambiato e non cambierà mai. 

Che ci saranno sempre, entrambi. 

Che può contare su di loro.

Una separazione può far soffrire, ma può anche diventare un’occasione per crescere tutti, adulti e bambini. 

Per insegnare ai propri figli che si può scegliere di affrontare i cambiamenti con dignità, rispetto, verità. 

Che anche se la forma della famiglia cambia, ciò che resta è l’amore. 

E quella è la cosa che conta davvero.

Per approfondire questo tema e trovare spunti concreti per affrontare la separazione con consapevolezza, rispetto e cura verso i figli, ti invito a leggere gli altri contributi del blog #AvvocatiEmpatici.

Questo contributo nasce da storie reali, da esperienze vissute, da ascolto profondo. 

Perché crediamo che una separazione ben gestita possa generare relazioni più sane, anche quando cambiano forma.

La differenza, spesso, la fa il modo in cui scegliamo di comunicare e di restare. 

Anche da separati e di chiedere supporto in caso di necessità.


 
 
 

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