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Marco e Giuliana: il prezzo invisibile della separazione, quando la recriminazione diventa protagonista

  • Immagine del redattore: Avvocati Empatici
    Avvocati Empatici
  • 6 mag
  • Tempo di lettura: 4 min

Il “ricatto” emotivo è un meccanismo diabolico da debellare


Nel mio studio legale, quotidianamente, assisto ad una dinamica tanto frequente quanto dolorosa nelle crisi coniugali che portano poi alla separazione: il meccanismo del “ricatto” morale sottile e devastante. 

È una danza perversa che si consuma nella negoziazione delle pratiche per tentare un accordo condiviso, nella quale il senso di colpa dell’uno e la volontà di dominare e sottomettere sull’altro diventa moneta di scambio, trasformando le emozioni in strumenti di pressione.

Nel caso di Marco e Giuliana, come in molti altri, questo meccanismo si è manifestato in tutta la sua complessità.

Chi chiede la separazione, come Marco, spesso si trova a dover gestire non solo il percorso legale, ma anche un opprimente senso di colpa per aver fatto il primo passo, per aver compreso che il proprio matrimonio non ha altre possibilità di salvarsi. 

Questo peso emotivo viene talvolta abilmente manipolato dalla controparte, in questo caso Giuliana, che ha trasformato la propria sofferenza in uno strumento di pressione psicologica fatta di continue richieste al rilancio economico alternata a volontà di tenere in scacco emotivo il marito, proprio con il meccanismo dei sensi di colpa.

La dinamica è sempre la stessa: da un lato infatti c'è chi chiede incessantemente, alimentando le richieste, spesso di natura economica, con frasi cariche di significato emotivo ("dopo tutto quello che ho fatto per te", "hai distrutto la famiglia", "i bambini soffriranno per colpa tua"); dall'altro c'è chi, schiacciato dal peso della responsabilità della separazione, continua a concedere nella speranza di alleggerire la propria coscienza e abbassare la conflittualità con l’altro o anche di accontentarlo nelle richieste.

L'aspetto più inquietante di questa situazione si manifesta quando i figli diventano involontari ostaggi di questa guerra emotiva. Ho assistito troppo spesso a rapporti genitori-figli che vengono subdolamente utilizzati come leva nelle negoziazioni: "Se non accetti queste condizioni, sai che i bambini ne soffriranno", "Vedrai che capiscono chi è il genitore che li ha abbandonati" “ Se non accetti questo accordo (economico), non permetterò ai bambini di fare quella vacanza”. 

Sono frasi che mascherano, e a volte neanche troppo, ricatti emotivi dietro un’apparente preoccupazione per il benessere dei figli.

È chiaro che non si dovrebbero mai utilizzare in tal modo i propri figli, ma chi è vittima di questa situazione non riesce a comprenderla appieno e pensa sempre, errando, che accettare possa essere la miglior soluzione, perché si ha la convinzione o meglio l’illusione, che così facendo l’altra parte interromperà questa modalità di rapporto.

Nel caso di Marco e Giuliana, la presenza di Luca, adolescente di quattordici anni in una fase delicata della crescita, e Sara, giovane adulta di venti tre anni, rende ancora più complesso questo gioco di equilibri.

I figli, spesso inconsapevolmente diventano il campo di battaglia in cui si consumano le vendette emotive dei genitori. 

Un genitore può sottilmente influenzare il rapporto dei figli con l'altro, utilizzando la loro naturale empatia e il loro affetto come strumenti di pressione.

Marco è stato a lungo tenuto sotto scacco perché doveva trasferirsi in altra città per lavoro e Giuliana ha fatto di tutto per chiedere economicamente anche oltre quanto le spettava di diritto e per fare pressioni sul rapporto padre e figli, considerata la necessaria lontananza che si sarebbe creata per esigenze lavorative di Marco.

Per fortuna i figli, anche grandicelli, si sono smarcati da questo meccanismo, anche grazie al rapporto che già era forte con il padre prima di arrivare alla separazione.

Prima di decidere di concludere il proprio matrimonio, Marco le ha tentate tutte: percorsi di coppia, mediazione familiare.

Non c’è stato nulla da fare, il rapporto matrimoniale era morto e non poteva resuscitare.

Come professionista, osservo quotidianamente come questo meccanismo perverso del ricatto emotivo si protrae ben oltre la firma degli accordi di separazione. 

È un'ombra che può persistere per anni, influenzando ogni decisione anche successiva alla definizione del matrimonio, riguardante la gestione della famiglia separata.

Nel caso di Marco, la sua naturale propensione a concedere, combinata con il senso di colpa per la decisione di separarsi, ha rischiato di trasformarlo in un eterno debitore economico ed emotivo, mentre Giuliana avrebbe potuto trovare in questo schema un modo per mantenere un controllo sulla situazione, non avendo accettato la fine del matrimonio e un legame malato con l'ex marito.

La sfida più grande per un avvocato matrimonialista è proprio quella di aiutare i clienti a riconoscere e superare questi meccanismi tossici. È fondamentale far comprendere che una separazione, per quanto dolorosa, non dovrebbe trasformarsi in una perpetua condanna emotiva per nessuna delle parti coinvolte. Il vero obiettivo dovrebbe essere quello di raggiungere un equilibrio che permetta a entrambi i coniugi e genitori di mantenere una relazione sana con i figli e tra di loro, libera da ricatti morali e sensi di colpa.

La storia di Marco e Giuliana ci ricorda che nelle separazioni, il prezzo più alto non è quello scritto negli accordi economici, ma quello invisibile, pagato in termini di stabilità emotiva e serenità personale. Come società, abbiamo il dovere di evolverci verso un approccio più maturo alla fine delle relazioni, dove il rispetto reciproco e il benessere dei figli dovrebbe prevalere sui meccanismi di manipolazione emotiva.

La chiave del successo sta nella tempestività dell'intervento e nella capacità di mantenere un approccio proattivo piuttosto che reattivo, sempre privilegiando soluzioni che minimizzino il conflitto e massimizzino la tutela degli interessi di tutte le parti coinvolte, in particolare dei minori.

Sono per la mediazione e per lo sviluppo di un progetto sano di una famiglia separata e pertanto come legale tendo a non privilegiare mai la strada conflittuale e contenziosa: l’ordinamento ci dà però degli strumenti che se necessario vanno usati per affrontare i meccanismi che non fanno cessare i conflitti. 

Il contenzioso deve essere l’estrema ratio quando vanno tutelati i diritti e deve essere perseguito se non vi è altra possibilità.


 
 
 

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