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Michele e Ginevra: la fine di un matrimonio non accettata e l’errore di tenere ostaggio il coniuge nel rapporto matrimoniale di cui si vuole liberare

  • Immagine del redattore: Avvocati Empatici
    Avvocati Empatici
  • 29 apr
  • Tempo di lettura: 5 min

Quando il matrimonio diventa una prigione


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Ci sono storie che meritano di essere raccontate, non per il loro lieto fine, ma per la loro cruda verità.

Quella di Michele e Ginevra è una di queste: vent'anni di matrimonio che si sgretolano come un castello di sabbia demolito dalle onde. 

Le crisi matrimoniali devono essere affrontate e superate in un modo o in un altro, alla fine con accettazione di quello che sarà il risultato, perché sembra una banalità, ma non lo è, la vita continua anche dopo un matrimonio fallito.

Michele e Ginevra si erano sposati giovani, con quella fretta tipica di chi crede che l'amore basti a superare tutto. La famiglia così costruita ha fatto un lungo percorso: i genitori hanno fatto entrambi carriera e il figlio, Roberto, ha superato gli ostacoli scolastici con profitto. 

Ma il tempo, implacabile giudice della nostra vita, ha avuto altri piani.

Al compimento dei cinquant'anni, Michele precipita in una crisi depressiva profonda. Non è il classico momento di passaggio, ma qualcosa di più radicale che lo spinge a intraprendere un percorso di psicoanalisi. È qui che emerge la verità più dolorosa: non ama più Ginevra sebbene le sia profondamente legato. Quella donna con cui è cresciuto, con cui ha condiviso gioie e dolori, è diventata un'amica, una sorella, ma da tanto tempo non più una moglie.

Come spesso accade, l'universo ha un cinico senso dell'umorismo: proprio mentre Michele cerca di dare un senso alla sua vita matrimoniale, tentando di risolvere con Ginevra la crisi e dandosi del tempo per  rinfrescare un rapporto che sapeva essere compromesso, ma che non voleva lasciare andare così, incontra una donna più giovane di vent'anni. 

L'amore, quello vero, quello che fa tremare le ginocchia, lo travolge di nuovo: un sentimento forte dopo anni di esaurimento e percorsi psicoanalitici per capire cosa non funzionava nella sua vita.

La decisione di separarsi è a quel punto inevitabile, non vuole più aspettare perché capisce che non ci sarebbe alcuna prova possibile per far rinascere un sentimento nei confronti di Ginevra che non prova più, sebbene si senta legato alla donna con cui ha condiviso buona parte della sua vita e che ha scelto come madre di suo figlio.

La moglie non era pronta ad accettarla questa fine. Il dolore si è trasformato in rabbia, la rabbia in vendetta. Appostamenti, scenate in pubblico, scenate sul posto di lavoro.

È iniziata dunque una guerra su due fronti: quello economico, con battaglie legali estenuanti, e quello emotivo, pedinamenti, gazzarre e ricatti morali.

La vicenda che mi ha lasciato interdetta in particolar modo è stata quella occorsa una sera a Michele al rientro a casa.

Il marito dapprincipio della separazione ha dovuto allontanarsi dalla casa coniugale per tentare di gestire la situazione con toni meno accesi e si è trasferito in un appartamento di proprietà dei coniugi che un tempo veniva dato in locazione a terzi.

Lo stesso una sera per l’appunto rientra in questa abitazione provvisoria e nascosta in camera da letto dietro ad una poltrona al buio si era insinuata Ginevra che voleva con questa boutade  cogliere in flagrante il marito con la sua nuova fiamma. 

Il prezzo più alto lo ha pagato dunque proprio Ginevra: crisi di nervi, umiliazioni che con comportamenti scomposti si è costantemente procurata anche in pubblico, problemi di salute in conseguenza dello stress accumulato, il corpo che grida quello che la mente non vuole accettare. La sua guerra personale è divenuta una spirale autodistruttiva e lei non ha capito bene cosa avveniva e perché e non è riuscita a reagire senza farsi accecare dal risentimento alimentato dal dolore e sconforto per la fine del suo matrimonio.

Certamente per superare questo lutto ci vuole tempo ed elaborazione, ma sembrava proprio che Ginevra non ne volesse sapere.

Gli avvocati hanno giocato un ruolo cruciale nella vicenda di Michele e Ginevra, trasformandosi spesso da mediatori, prassi consueta per un avvocato familiarista, a involontari protagonisti di una guerra senza esclusione di colpi.

Il legale di Michele si è trovato a gestire una situazione delicata: da un lato, tutelare i suoi interessi che, pur essendo il "colpevole" della scelta della separazione, aveva diritto a una divisione equa del patrimonio e a vivere serenamente la sua nuova relazione. Dall'altro, doveva fronteggiare le continue azioni legali promosse dalla controparte che così facendo si è posta come obiettivo quello di non andare avanti e cercare di tenere Michele fermo alla posizione di partenza.

L'avvocato di Ginevra, invece, si è trovato a dover contenere l'irrazionalità della sua assistita, che alternava richieste economiche spropositate a comportamenti al limite dello stalking, prevenendo denunce e che l’intera situazione divenisse ingovernabile e penalizzante ad un certo punto per la sua cliente. 

Quello che doveva essere un normale processo di separazione si è trasformato in una battaglia legale durata quasi tre anni, con costi e carichi emotivi devastanti per entrambi i coniugi coinvolti.

Emerge chiaramente come il ruolo degli avvocati in questi casi non sia solo quello di tutelare gli interessi dei propri clienti, ma anche di cercare di contenere le escalation emotive che rischiano di trasformare una separazione in una guerra infinita.

La vicenda di Michele e Ginevra dimostra come la fine di un matrimonio possa trasformarsi in un vortice legale dove il confine tra tutela dei propri diritti e vendetta personale può diventare più che sottile e faticoso da maneggiare. 

A volte l'amore finisce, semplicemente finisce. Non ci sono colpevoli, solo vittime di un sentimento che si è consumato nel tempo. Il vero coraggio sta nell'accettare, nel lasciare andare, nel permettere a se stessi e all'altro di cercare oltre il nuovo percorso e la felicità, anche se questo significa per l'appunto percorrere strade diverse.

Nel caso di Michele e Ginevra ha giocato un ruolo fondamentale la presenza di un figlio dinanzi al quale doversi fermare. Roberto ad un certo punto ha deciso di andare a studiare fuori sede per allontanarsi dai colpi e contraccolpi della battaglia legale che ha visto come protagonisti i suoi genitori, un po’ per tutelarsi e rimanere in disparte e un po’ per non voler prendere le parti di nessuno, anche se la madre per un lungo periodo ha cercato di farlo schierare.

Roberto ha dimostrato di essere molto maturo e di volersi affrancare da tutto questo e a mio avviso ha dato un insegnamento anche ai genitori, più che altro a sua madre che ha cercato di coinvolgerlo in tutto e per tutto in questa battaglia che non era però la battaglia di suo figlio.

La distanza di Roberto è servita però a Ginevra con il tempo a riequilibrare un po’ la propria situazione trovando nel figlio un punto di appoggio e una ragione per reagire.

Il focus è divenuto il figlio che comunque da studente fuori sede ha potuto garantirsi la sua indipendenza senza perdere di vista l’attenzione per la madre: con il padre Roberto si è inteso da subito, non lo ha mai fatto sentire in colpa o fuori posto e ha potuto contare anche su questi per alleggerirsi quando necessario dalle iniziali pretese materne un po’ soffocanti.


 
 
 

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