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Quando la fiducia si frantuma: il valore delle ferite e la bellezza della riparazione

  • Immagine del redattore: Avvocati Empatici
    Avvocati Empatici
  • 14 mag
  • Tempo di lettura: 4 min

La fiducia nel mondo personale e professionale


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La fiducia è il filo invisibile che intreccia le nostre vite. La riponiamo nelle persone che amiamo, negli amici, nei colleghi, in chi sceglie di camminare accanto a noi. È quel senso di sicurezza che ci permette di aprirci, di costruire legami, di progettare il futuro.

Eppure, la fiducia è anche fragile.

Quando viene tradita, non si spezza solo un rapporto: si incrina una parte di noi.

Chiunque abbia vissuto questa esperienza sa quanto possa essere doloroso.

Più abbiamo investito in una relazione, più profonda sarà la ferita. Più la posta in gioco è alta, più il tradimento lascia il segno, influenzando il nostro modo di pensare, di agire, di sentire. È una crepa che si apre dentro di noi. E come ogni crepa, fa male.

Il tradimento della fiducia assume molte forme: una promessa infranta, un impegno non mantenuto, una parola data e poi dimenticata. Nel mondo professionale, può significare sentirsi trattati come un numero e non come una persona, percepire che chi avrebbe dovuto sostenerci non abbia realmente compreso la nostra storia, chi avrebbe dovuto fare il proprio lavoro con professionalità e attenzione lo abbia banalizzato solo per fatturare.

Di fronte a questo dolore, la reazione più comune è evitarlo. Fingere che non sia successo nulla, nascondere la delusione sotto il tappeto delle giornate, convincerci che non ne valga la pena.

Ma le emozioni non svaniscono solo perché scegliamo di ignorarle.

La fiducia infatti è un’emozione, lo sapevate?

Si accumulano, strato dopo strato, condizionando il nostro modo di vedere il mondo e gli altri. Se non affrontiamo il dolore di una fiducia tradita, iniziamo a guardare ogni nuova relazione con sospetto. Ogni incontro diventa un potenziale rischio, ogni parola un possibile inganno. Così, senza nemmeno accorgercene, alziamo barriere che finiscono per isolarci. 

Ma le conseguenze non si fermano qui. Una fiducia tradita lascia cicatrici profonde. Non solo ci rende più diffidenti verso gli altri, ma mina anche la fiducia in noi stessi.

🔹 Autostima compromessa: Se una persona per noi importante ci tradisse, potremmo iniziare a chiederci se siamo stati noi a sbagliare. Se non siamo stati abbastanza attenti. Se ci siamo illusi. Il dubbio può insinuarsi in profondità, portando a mettere in discussione il nostro valore.

🔹 Paura di sbagliare di nuovo: Il timore di rivivere quel dolore ci spinge a evitare il rischio. Evitiamo di affidarci, di delegare, di chiedere aiuto. Restiamo in superficie, senza mai concederci davvero all’altro.

🔹 Blocco nella crescita personale e professionale: La fiducia è il motore del cambiamento. Se smettiamo di credere nelle possibilità, se ci chiudiamo nella paura di essere di nuovo feriti, rischiamo di sabotare le nostre stesse opportunità.

🔹 Isolamento emotivo – Quando la fiducia viene meno, ci si chiude. Si fatica a condividere pensieri, emozioni, sogni. Si diventa più razionali e meno spontanei, più calcolatori e meno aperti. Ma senza connessione autentica, anche le relazioni più solide possono perdere significato.

Ritrovare la fiducia non è immediato. È un processo. E come ogni processo, richiede consapevolezza e volontà. Innanzitutto, dobbiamo sapere riconoscere le emozioni, dargli un nome e capire a che cosa servono.

La rabbia ci mostra che un nostro valore è stato violato. La tristezza ci aiuta a elaborare la perdita. La paura ci avverte di un pericolo. E la sfiducia? La sfiducia è un’ombra lunga, che getta il suo velo sul futuro, facendoci credere che non valga più la pena aprirci, sperare, credere nelle persone.

Ma le emozioni, se comprese, non sono un limite: sono una bussola. Accettarle non significa restare prigionieri del dolore, ma concedersi il tempo di ascoltarle e trasformarle.

Un avvocato, un giudice, un consulente, un coach, un formatore, insomma chiunque lavori con le persone dovrebbe essere consapevole di quanto una fiducia spezzata possa incidere sulla percezione di giustizia e di se stessi.

In Giappone esiste un’antica arte chiamata Kintsugi, che consiste nel riparare oggetti in ceramica rotti riempiendo le crepe con l’oro

Il risultato? Un oggetto unico, le cui fratture non vengono nascoste, ma trasformate in un segno di bellezza e resilienza.

Questo concetto si applica perfettamente anche alla fiducia. Non possiamo cancellare il dolore del passato, ma possiamo scegliere come integrarlo nella nostra storia. Possiamo trasformare la delusione in consapevolezza, le ferite in forza, le crepe in un racconto di rinascita.

Nel contesto della giustizia e delle relazioni professionali, questo significa ricostruire la fiducia con trasparenza, coerenza e responsabilità. Dimostrare, con azioni concrete, che un errore non definisce una relazione, ma che esiste sempre la possibilità di riparare, di evolvere, di ricominciare.

Se vogliamo costruire relazioni solide e autentiche, dobbiamo avere il coraggio di guardare le nostre crepe con onestà. Riconoscere la nostra fragilità e, al tempo stesso, scegliere di ripararla con qualcosa di ancora più forte: impegno, presenza, responsabilità.

Un avvocato empatico non è solo un professionista della legge.

È qualcuno che sa che dietro ogni caso c’è una persona, con la sua storia, le sue ferite, le sue speranze. E che, a volte, il più grande atto di giustizia è restituire fiducia a chi l’ha perduta.


 
 
 

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